
Per la Cassazione, la struttura privata che abbia concesso in locazione alcuni suoi immobili ad un medico non risponde dei danni dallo stesso causati al paziente
Ponendo fine ad una annosa questione costantemente portata all'attenzione dei Giudici, la Corte di Cassazione (con l'ordinanza n. 8163/2025 sotto allegata) ha statuito in maniera chiara ed inequivocabile che "la struttura sanitaria che abbia concesso in locazione alcuni suoi immobili e la relativa strumentazione sanitaria ad un medico non risponde dei danni da quest'ultimo causati ad un paziente".
Riformando una sentenza della Corte d'Appello di Ancona, che aveva ritenuto la struttura "responsabile" dell'errore del medico e "condannato" la clinica "a tenere indenne" il sanitario "limitatamente alla metà" di quanto da quest'ultimo dovuto, i Giudici di legittimità hanno accolto la linea difensiva della Casa di Cura secondo cui i sanitari intervenuti, pur avendo utilizzato i locali (e la strumentazione) loro concessi dalla struttura, non avevano con la stessa alcun rapporto professionale idoneo a renderla responsabile del loro operato.
In esito ad un intervento laser agli occhi dal quale erano derivati danni alla vista, la paziente ha citato in giudizio il medico il quale, a sua volta, ha chiamato in causa la Casa di Cura che aveva concesso in locazione il "locale", con relativa "strumentazione", in cui era stata eseguita l'operazione.
I Giudici di secondo grado, nel condannare la struttura a tenere indenne il medico intervenuto nella misura della metà di quanto dovuto, hanno ricondotto il contratto di locazione intercorrente tra la struttura e la società di medici nel paradigma normativo del "contratto di spedalità con effetti protettivi a favore del terzo".
Da tale contratto, secondo la Corte d'Appello, "a fronte del pagamento del corrispettivo, sorgono a carico della clinica obblighi di tipo alberghiero, di messa a disposizione del personale, di fornitura delle strumentazione necessaria, nonché di quanto necessario anche a far fronte all'insorgere di eventuali complicazioni".
A maggiore supporto della propria decisione, inoltre, la Corte d'Appello ha ulteriormente rilevato che, "sebbene tra la struttura ed il medico non esista rapporto di lavoro subordinato, quando il chirurgo opera all'interno della clinica assume la veste di ausiliario necessario della struttura stessa".
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza in esame ed in accoglimento dei motivi di censura formulati dalla Casa di Cura, nel ritenere il richiamo al "contratto con effetti protettivi a favore del terzo" uno schema "utilizzato in passato dalla giurisprudenza ma non più seguito dalla Corte di Cassazione, che ha anzi negato che nel contratto tra medico e struttura possa ravvisarsi un contratto con effetti protettivi per il paziente (Cass. 11320/2022)", ha invece statuito che "la responsabilità della struttura, sia prima che dopo la legge del 2017, presuppone che vi sia un rapporto di tipo professionale tra i due, ossia cheil medico collabori con la struttura, in forma autonoma o dipendente, alla prestazione", occorrendo "un titolo perchè essa risponda del fatto del medico".
A nulla vale, al riguardo, che i medici intervenuti abbiano utilizzato, nel caso di specie, la "strumentazione della struttura", in quanto, chiarisce la Corte, "la concessione in godimento della strumentazione fa parte anch'essa della locazione, che ben può estendersi alla strumentazione tecnica" ed "il fatto che siano locati anche gli strumenti non rende la Casa di Cura responsabile dell'operato di chi quegli strumenti utilizza".
Tale locazione, spiega la Cassazione, "non comporta assunzione di una obbligazione alla prestazione in capo al locatore, né può dirsi che costui trae utilità dall'attività svolta dal conduttore nei locali dati in godimento", non sorgendo, infatti, responsabilità per il locatore "da quello che il conduttore personalmente compie all'interno dell'immobile".
Conclude pertanto la Corte enunciando il "principio di diritto" secondo cui "la struttura sanitaria che abbia concesso il locazione alcuni suoi immobili ad una società di medici non risponde dei danni causati da uno di questi ad un paziente, in quanto il rapporto di locazione tra una struttura ed un medico, ed a maggior ragione tra una struttura ed una società di medici, non comporta che la prima debba rispondere degli errori professionali dei secondi".
La citata ordinanza della Cassazione si inserisce nel contesto normativo e giurisprudenziale, piuttosto variegato, del rapporto del sanitario con la struttura di riferimento.
Se invero a seguito dell'introduzione della Legge Gelli, al fine di meglio tutelare i medici, la responsabilità sanitaria è stata dal legislatore veicolata nei confronti delle strutture, tale sgravio non opera in qualunque condizione, dovendo, in specifiche circostanze, il sanitario sobbarcarsi personalmente il peso del proprio errore professionale.
Occorre, pertanto, effettuare una distinzione a seconda del tipo di rapporto intercorrente tra il medico e la struttura nella quale opera.
Ove infatti la struttura abbia assunto una obbligazione nei confronti del paziente o il medico agisca all'interno della stessa in virtù di un vincolo che la renda partecipe dell'attività, la Casa di Cura risponderà della condotta dolosa o colposa del sanitario.
Il medico, invece, risponderà personalmente nei confronti del paziente ove abbia operato in modo autonomo, stipulando un accordo diretto con lo stesso.
Situazione ibrida capace di destare non poche perplessità è quella del medico che utilizza i locali di una struttura sanitaria senza che, però, intercorra con quest'ultima alcun rapporto professionale, come, appunto, nel caso in esame.
Avendo, infatti, il sanitario preso esclusivamente "in locazione" i locali, pur "completi della strumentazione medica", senza che sussistesse alcun rapporto collaborativo con la struttura, nessuna responsabilità può essere a quest'ultima attribuita in ordine all'operato del medico, ricadendo solamente in capo a quest'ultimo le conseguenze della sua (errata) condotta e ben potendo la struttura opporre, qualora chiamata in causa, l'evidenza di un rapporto avente natura esclusivamente locatizia.
Avv. Diego Ferraro e Avv. Sonia Coppola del Foro di Palermo
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