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Diritto di famiglia

I figli dei separati restano dove si trovano

I figli dei separati restano dove si trovano

Ripensamento della Cassazione, che boccia i trasferimenti dei figli a grande distanza

Una richiesta ben argomentata

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La vicenda ripercorre binari frequenti in casi del genere. Una madre separata e collocataria di tre figli si rivolge al tribunale di N. chiedendo di essere autorizzata a trasferirsi a P insieme ad essi giustificando la propria decisione con motivi inerenti alla propria professione di medico. Il tribunale concede il nullaosta, ma, data la notevole distanza tra le due città, 850 km circa, il padre reclama il provvedimento presso la Corte d'appello di N. Il giudice di secondo grado, tuttavia, conferma la decisione precedente, con una serie di motivazioni che hanno tutta l'apparenza di essere inattaccabili. Soprattutto tenendo conto della precedente giurisprudenza (v. sotto). Vengono, infatti, sentiti i due figli più grandi, i quali dichiarano di gradire la scelta materna in quanto conoscono bene la città dove dovrebbero andare a vivere, nonché i rispettivi istituti scolastici dove dovrebbero essere inseriti. Aggiungono anche di essere sicuri, poiché loro garantito dalla madre, che non avverrà alcuna sostituzione del padre con il di lei nuovo compagno, che potranno tornare liberamente in visita a N. ogni volta che lo vorranno, così come il padre potrà senza problemi andarli a trovare a P. Tutto ciò che affermano dichiarano che è condiviso anche dalla sorellina più piccola. Si è dunque in presenza di circostanze favorevoli, fatte proprie dalla Corte di appello, decisamente più rare di quanto verificatosi in casi precedenti, che sembrano legittimare perfettamente il nullaosta concesso.

Sorprende quindi, a maggior ragione, che il reclamo paterno presso la Corte di cassazione sia stato accolto, oltretutto andando a contraddire una giurisprudenza di legittimità che appariva consolidata.

I precedenti giurisprudenziali

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Seguendo le pronunce della Cassazione in merito ai cambiamenti di residenza si ha modo anche di osservare l'evolversi della visione che la magistratura di legittimità ha costruito nel tempo in merito ai principi che stanno alla base dell'affidamento condiviso. Anticipando le conclusioni, può dirsi che il modello sostanzialmente monogenitoriale ha dominato a lungo la scena; tuttavia recentemente si cominciano ad avvertire i segni di un ripensamento, sia pure lento e faticoso.

Difatti, a lungo la Suprema Corte ha mostrato di indulgere nel trovare sempre e comunque delle ragioni, spesso discutibili o contorte, per giustificare la non applicazione, quanto meno semplice e diretta, del principio - costantemente affermato e ribadito come sacrosanto - della supremazia dell'interesse del minore. Minore al quale certamente non può far piacere e non può giovare essere allontanato dal luogo di crescita, dove ha costruito le proprie radici e le proprie abitudini.

In sostanza, l'atteggiamento dominante è stato a lungo quello di rammentare certamente la priorità dell'interesse del minore, ma di trovare sempre e comunque il modo di farlo coincidere con le aspirazioni del genitore: tipicamente la madre, in quanto si tratta sempre di quello "collocatario". E quando era davvero troppo complicato costruire una giustificazione di questo genere, ci si appellava all'ottima ragione che dei due svantaggi contrapposti, essere allontanato dalla madre o dall'habitat, indubbiamente il meno pesante era il secondo. Ciò perché di fronte alla volontà di trasferirsi del genitore collocatario, diritto costituzionalmente garantito, la Suprema Corte - come tendenzialmente i giudici del merito - mostrava difficoltà a considerare che le ragioni addotte potessero essere pretestuose e la decisione conseguenza proprio della possibilità offerta dalla giurisprudenza di allontanarsi dall'ex - spesso aborrito - portandosi dietro i figli e l'assegno.

Limitandosi a qualche caso tra i più significativi, vale la pena di osservarne alcuni. Ad es., per Cass. 13619 del 4 giugno 2010 ai fini del nulla-osta è sufficiente dimostrare di avere trovato un posto di lavoro nel luogo di arrivo. Mentre Cass. 11062 del 19 maggio 2011 giustifica il trasferimento in quanto la collocataria intende tornare nel paese di origine perché ivi potrà godere del sostegno della propria famiglia. E anche quando la Corte censura (ammonendola) la scelta della madre di allontanarsi da Milano a Roma senza il consenso del padre, in concreto si arrende allo stato di fatto ed evita di disporre il rientro (Cass. 26 marzo 2015 n. 6132).

E ancora più significativa è la vicenda giudicata da Cass. 9633/2015, che merita di essere rammentata con maggiore dettaglio. Una madre separata, magistrato, residente come il padre a Rossano, viene spostata su Castrovillari, distante pochi kilometri e raggiungibile in poco tempo, quando la procura di Rossano viene soppressa. Tuttavia la signora, trovando scomodo viaggiare in automobile, chiede ed ottiene un trasferimento a Lecce. Il padre si oppone e il tribunale di Rossano gli dà ragione, collocando le bambine, di 9 e 5 anni presso il padre. Tuttavia, la Corte d'appello di Catanzaro, adita dalla madre, ribalta la sentenza e le concede il trasferimento in compagnia delle figlie. Interessante la motivazione, accolta dalla Suprema Corte. Pur riconoscendo che entrambe le bambine godono a Rossano di una importante e stabile rete amicale, nonché ammettendo che la più grande ne subirà un sensibile danno anche scolastico, viene attribuita al legame con la madre una importanza prioritaria poiché le bimbe, pur non avendo un bisogno fisico diretto particolare, "sono da considerare allo stato comunque bisognose della presenza materna, pur sempre apportatrice di quella carica affettiva tutta speciale, capace di trasmettere sostegno, senso di protezione e sicurezza, che al momento si atteggiano quali elementi insostituibili per garantire loro un corretto ed armonico sviluppo psicofisico". È da notare che non si ipotizza nemmeno che la madre possa rinunciare al trasferimento a Lecce e stabilirsi a Castrovillari, così eliminando la necessità di spostarsi in automobile, come suggerito dal padre. Sarebbe stato questi, insegnante, a coprire la distanza da Rossano, senza alcun problema, risparmiandole il disagio e salvando alle figlie il diritto alla bigenitorialità. La Cassazione se la cava sul punto sostenendo che la Corte d'appello non poteva sindacare le scelte liberamente fatte da ciascuno dei genitori, per cui aveva deciso sulla base delle circostanze di fatto: o a Lecce con la madre o a Rossano con il padre. Una tesi poco convincente, poiché se si fosse deciso "a Rossano con il padre" molto probabilmente la soluzione a Castrovillari con la madre non le sarebbe apparsa così sgradevole e con un'adeguata mediazione l'accordo si sarebbe potuto trovare. Si aggiunge anche, curiosamente, che i bambini hanno una grande capacità di adattamento e quindi è preferibile che siano loro a doversi ricostruire un radicamento piuttosto che "disturbare" un adulto. In definitiva, la sostanziale subordinazione dell'interesse dei figli a quello del genitore collocatario non avrebbe potuto apparire in modo più evidente.

E a conclusione di questo breve excursus sulla precedente giurisprudenza di legittimità vale la pena di rammentare il principio di diritto enunciato da Cass. 4796/2022: "Il diritto del minore al mantenimento di rapporti equilibrati e continuativi con entrambi i genitori (art. 337 quater c.c.), che in via sistematica si colloca all'interno di quello al rispetto della vita familiare di rilievo convenzionale (art. 8 Cedu), là dove si verifichi la crisi della coppia va riconosciuto dal giudice del merito in composizione con l'interesse del genitore, collocatario e non, nella loro reciproca relazione in cui l'interesse primario del figlio deve porsi quale punto di "tenuta" o "caduta" della mediazione operata. Il giudice del merito chiamato ad autorizzare il trasferimento di residenza del genitore collocatario del minore deve pertanto valutare con l'interesse di quest'ultimo, nell'apprezzata sussistenza della sua residenza abituale quale centro di interessi e relazioni affettive, quello del genitore che abbia richiesto il trasferimento e, ancora, del genitore non collocatario su cui ricadono gli effetti del trasferimento autorizzato, per le diverse peggiorative modalità di frequentazione del figlio che gliene derivino".

Un principio che dimentica con grande disinvoltura la proclamata priorità del child best interest e che esplicitamente attribuisce ai due genitori, entrambi affidatari, differenze che la legge non prevede: anzi che intendeva rimuovere. La collocazione prevalente è una invenzione della giurisprudenza, che mostra tutti i suoi effetti perversi proprio nel momento in cui il collocatario decide di trasferirsi. Basta riflettere sul fatto che se l'iniziativa di cambiare luogo è del non collocatario non si pone mai il problema della frequentazione se non attraverso la ridefinizione del cosiddetto "diritto di visita". In altre parole, anche se la differenza nella frequentazione è di un solo pernottamento al mese il principio di conservazione dell'habitat rende improponibile la ridiscussione della collocazione dei figli, ovvero il genitore non collocatario non potrà mai pretendere di portare i figli con sé ma potrà soltanto chiedere che i suoi contatti con i figli non vengano azzerati. Toccherà sempre a lui inventare soluzioni perché ciò non avvenga, e sempre con suo sacrificio, senza nulla chiedere all'altro genitore.

La tesi più sconcertante

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Quanto appena visto in materia di precedenti giurisprudenziali - sicuramente già di per sé preoccupante, mostrando una chiara predilezione per decisioni che soddisfano essenzialmente i desideri degli adulti a danno dei diritti dei figli - impallidisce, tuttavia, rispetto ad altri concetti introdotti nel momento in cui il cambiamento di residenza richiede anche l'individuazione del giudice competente a decidere.

Difatti, il problema del permesso al trasferimento dei figli al seguito del genitore correntemente detto "collocatario" si collega con quello della residenza aggettivata come "abituale", che nella accezione più comune della giurisprudenza ha purtroppo finito per venire totalmente fraintesa, trasformandosi da territorio nel quale si è radicata la vita dei figli a indirizzo dell'abitazione del genitore prevalente. Un concetto travisato a tal punto da indurre una interpretazione detta "prognostica" nella quale al centro si colloca il genitore dominante e il suo tornaconto, a scapito della sempre affermata centralità dell "interesse del minore", regolarmente pretermesso quando in contrasto con quello dell'adulto di riferimento. Ne forniscono eclatanti esempi le vicende delle madri di Foggia (Cass. 18817/2014) e di Catania (Cass. 21285/2015), autorizzate a trasferirsi con i figli la prima a Milano e la seconda a Rieti in nome di un loro personalissimo interesse che mai le avrebbe indotte a tornare indietro: ovviamente sempre con i figli appresso. Decisioni che rappresentano solo il più vistoso esempio di una consolidata tradizione giurisprudenziale, in forza della quale si era sempre considerato prevalente la tutela del legame tra i figli e il genitore pensato di riferimento (pur in affidamento condiviso!) rispetto al diritto alla conservazione dell'habitat nonché, a maggior ragione, alla bigenitorialità. Anche in questo caso seguire da vicino alcuni aspetti del caso di Milano può essere illuminante. Il TO milanese si era dichiarato non competente a stabilire ove i figli dovessero abitare sulla base del raffronto temporale tra gli anni passati in Puglia e i pochi giorni a Milano, in accordo con la definizione di "residenza abituale" della Convenzione dell'Aja. E già questo criterio appare assai benevolo, visto che la signora aveva trasferito i figli "motu proprio". Comunque, il TO di Foggia rimanda la competenza a Milano stante il "il fermo proposito " della ricorrente "di lasciare yy per trasferirsi a Milano". E la Suprema Corte gli va dietro concludendo: "L'allontanamento da yy, alla luce degli elementi di fatto emersi, si manifesta come privo di qualsiasi carattere di precarietà. Ne consegue che non sarebbe logico un radicamento della competenza nel luogo che presenta il carattere esclusivo di pregressa residenzadei predetti minori, senza alcuna attuale prospettiva di rientro, attese le circostanze emerse, e in particolare la denunciata condizione materna. Deve, in conclusione essere dichiarata la competenza del Tribunale ordinario di Milano". Traducendo: se l'adulto per suoi motivi personali è fermamente deciso a partire e vuole con sé i figli la competenza a decidere dove staranno i figli spetta al tribunale di arrivo… Con il che non si decide solo sulla competenza - in violazione di una Convenzione internazionale - ma anche sulla parte sostanziale della lite, ovvero dove è preferibile che i figli crescano… E decisione che ignora, oltre tutto, quanto affermato poco tempo prima dalla stessa Suprema Corte, ma a Sezioni Unite (Cass. SU 11915/2014) quando, posta di fronte alla tesi del reclamante secondo la quale "Il luogo di residenza non è quello risultante da un calcolo puramente aritmetico del vissuto ma è necessaria una valutazione in prospettiva per stabilire se il cambiamento di abitazione… presenti rilevante probabilità di tradursi in una nuova effettiva e stabile collocazione", dichiara invece che: "Il criterio stabilito dalla Convenzione dell'Aja esclude la possibilità di applicazione di altri criteri da esso divergenti", ammettendo la possibilità che prevalga il luogo di arrivo solo nell'ipotesi in cui il trasferimento sia avvenuto da tanto di quel tempo da poter considerare il minore radicato nella nuova sede.

La motivazione del provvedimento

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Per quanto appena accennato, è dunque evidente che la recente decisione (ordinanza n. 12282/2024 sotto allegata) rappresenta un rilevante ripensamento della Suprema Corte, finora del tutto insensibile anche alle critiche venute dalla dottrina: "il trasferimento dei tre figli in località distante parecchi chilometri da quella di residenza del padre non potrà non essere di ostacolo alla frequentazione del genitore coi figli nonostante al primo sia stata riconosciuta la "facoltà di vederli e tenerli quando desidera".

Infatti, la Corte di merito non ha valutato quella considerevole distanza tra le due città che non consente frequentazioni giornaliere, se non della durata di poche ore, ma al contrario solo visite di più giorni, data la notevole durata del viaggio. Tenendo poi conto che i figli frequentando la scuola, corsi sportivi, palestra, etc., non possono certo assentarsi troppo tempo dalla città di residenza, quantomeno nel lungo periodo scolastico, senza individuare idonee compensazioni.

Il trasferimento potrebbe configurare una violazione del diritto alla bigenitorialità anche in quanto la Corte di merito non ha valutato in alcun modo la questione, limitandosi a riportare le dichiarazioni rese dai due fratelli C.C. e D.D. ma non risulta sia stata ascoltata la più piccola E.E.".

Sperabile una inversione di rotta

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Il provvedimento qui esaminato si colloca all'interno di una sorta di sequenza positiva, senz'altro apprezzabile, che, sia pure con 18 anni di ritardo, sembra trasmettere una volontà di rilettura e di adeguamento ai principi che la riforma del 2006 chiaramente contiene. Sono da rammentare, in questo senso, le sottolineature a favore di una frequentazione paritetica e del mantenimento diretto, ovviamente nei limiti del concretamente praticabile, dimostrate dalla Suprema Corte con l'ordinanza 26997 del 2023. Indubbiamente, tuttavia, non mancando nelle pronunce di legittimità capovolgimenti nel tempo e inversioni di rotta, resta auspicabile che il Parlamento metta mano quanto prima a quegli aggiustamenti legislativi che rendano ineludibili i fondamenti giuridici e i contenuti della riforma del 2006, come esplicitamente indicati dal ddl 832 (1 agosto 2023), che ancora attende di essere ufficializzato.

Scarica pdf Cass. n. 12282/2024
Foto: 123rf.com

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