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Diritto penale

Respingimento migranti in mare: quando è reato

Respingimento migranti in mare: quando è reato

La Cassazione ha riferito che il respingimento di migranti verso le coste della Libia nel 2018 non poteva essere disposto ed eseguito, esistendo una situazione di pericolo reale ed attuale di un'offesa ingiusta

Abbandono in stato di pericolo e sbarco arbitrario di persone

Nel caso in esame, la Corte d'Appello di Napoli, confermando gli esiti cui era giunto il Giudice di primo grado, aveva accertato la responsabilità penale dell'imputato in relazione al delitto di abbandono in stato di pericolo di persone minori ed incapaci ex art. 591 c.p. e l'imputazione di sbarco e abbandono arbitrario di persone ai sensi dell'art. 1155 del Codice della navigazione.

I fatti di causa riguardavano la condotta di un comandante di un natante battente bandiera italiana che, avendo avvistato in acque internazionali un gommone con a bordo centouno migranti, aveva consentito il trasbordo sull'imbarcazione di un "ufficiale di dogana libica", senza procedere prima alla sua compiuta identificazione. Il comandante aveva altresì provveduto a soccorrere i suddetti migranti, ommettendo tuttavia di comunicare, prima di dare avvio alle attività di soccorso, ai centri di coordinamento e soccorso competenti l'avvistamento e l'avvenuta presa in carico dei migranti. Tale comportamento era stato ritenuto in contrasto con le procedure previste per le operazioni di soccorso, così come disciplinate dalla convenzione cosiddetta Solas e dalle direttive dell'IMO. Il comandante aveva inoltre omesso di attivare il coordinamento delle autorità SAR competenti e di adempiere agli obblighi informativi sullo stesso gravanti a norma dell'art. 5 della risoluzione MSC. 167/168. Infine lo stesso non aveva provveduto ad identificare i migranti soccorsi e di accertare, tra le altre cose, la loro volontà di chiedere asilo.

Il comandante, violando le convenzioni internazionali sul punto, aveva condotto i migranti verso le coste libiche e li aveva fatti trasbordare, una volta raggiunto il porto di Tripoli, su una motovedetta libica; tale comportamento si era tradotto in un respingimento collettivo dei migranti, sbarcati in un porto, quello appunto libico, non sicuro poiché la Libia non aveva aderito alla Convenzione di Ginevra.

Avverso la decisione del Giudice di secondo grado, l'imputato ha proposto ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione.

Il respingimento collettivo verso un porto non sicuro

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 4557/2024 (sotto allegata), ha rigettato il ricorso proposto e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

In ordine alle condotte contestate al comandate, la Corte, ripercorrendo le ricostruzioni fattuali compiute dai Giudici di merito, ha evidenziato che "la Corte di appello rilevava come il comandante non avesse contattato il Centro di coordinamento libico, che avrebbe dovuto coordinare il salvataggio e accogliere 101 migranti in un porto sicuro, solo perché a bordo era salito un presunto ufficiale libico, mai identificato (…). Il Centro di coordinamento di Roma e l'ambasciata italiana (..) vennero avvisate solo a «cose fatte»".

La Corte ha poi proseguito il proprio esame affermando che "A tale ricostruzione degli eventi, condivisa da entrambi i Giudici di merito (..), le relative sentenze affiancano il richiamo alle fonti normative che sostenevano la necessità di condotte doverose richiese al comandante della nave, diverse da quelle attuate in concreto (dallo stesso)".

Quanto alla sicurezza del porto libico, la Suprema Corte ha fatto riferimento, tra le varie fonti, anche al rapporto del Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d'Europa, dal quale si evince che la Libia "non può essere considerato un porto sicuro in materia di diritti dell'uomo e dei rifugiati; la situazione delle persone arrestate e detenute in Libia, compresa quella dei migranti (…) starebbe a dimostrare che le persone rinviate in Libia rischiavano di essere vittime di maltrattamenti".

Riguardo alla condotta del comandante la Corte ha dunque affermato che "correttamente la Corte di appello evidenzia come, a fronte di una condotta errata nella gestione del salvataggio, per l'omesso coinvolgimento dei centri di coordinamento libico e, in subordine, italiano" sarebbe spettato all'imputato escludere ogni pericolo nei confronti dei migranti, recandosi a tal proposito a verificare concretamente le condizioni di pericolo per la vita e l'incolumità dei naufraghi e, in particolare, delle donne in stato di gravidanza e dei minori di 14 anni. Spettava, in buona sostanza, al comandante verificare la sicurezza del luogo di ricovero dei migranti. In questo senso, prosegue la Corte, i Giudici di merito avevano correttamente ritenuto comprovata la prova del dolo, almeno eventuale, a carico del comandante, nell'ambito di un contesto (ampiamente descritto dai Giudici di merito e riferito dalla Corte di Cassazione) complessivamente illecito.

La Corte, dopo aver approfonditamente ripercorso i fatti di causa, nonché il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, ha dunque respinto il ricorso proposto dall'imputato poiché ritenuto complessivamente non fondato.

Scarica pdf Cass. n. 4557/2024
Foto: 123rf.com

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